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11 settembre: quando la guerra interruppe la Melevisione

L’11 settembre di venti anni fa ero una bambina. Avevo poco meno di nove anni e frequentavo le scuole elementari. Ero da poco rientrata a casa e, come di consueto dopo il pranzo, mi godevo gli ultimi minuti di televisione. Poi avrei dovuto iniziare a fare i compiti. Possedevo la spensieratezza di tutti i bambini che in quel momento, come me, si chiedevano se sarebbero o meno partiti per la gita in Inghilterra organizzata dalla scuola.

Il televisore era sintonizzato su Rai 3 dove anche quel giorno trasmettevano la Melevisione. A interrompere l’episodio fu l’annuncio di un’edizione speciale del telegiornale. Il servizio che scorreva nello schermo raccontava di un aereo che aveva colpito una delle Torri Gemelle – o Twin Towers, come avremmo imparato a conoscerle. Pochi istanti dopo, lo schianto sulla seconda torre e poi entrambe giù, crollate come un castello di sabbia. Io restai lì, in piedi davanti al televisore. Infransi addirittura la distanza minima che mi avevano imposto. Tenevo gli occhi fissi sulle immagini in diretta che scorrevano mentre intorno a me il silenzio era surreale.

E anche il mio ricordo dell’11 settembre resta fisso su quei minuti, simbolo di un’intera generazione rimasta congelata in quegli attimi. Ricordo che non riuscivo a capire bene cosa stesse accadendo eppure ero consapevole che qualcosa di lì a poco sarebbe cambiato. Da quel momento ho iniziato a sentir parlare di sicurezza, di controlli intensificati negli aeroporti, di Bin Laden e della guerra che tutt’a un tratto mi sembrava così incredibilmente vicina.

11 settembre, una giornata lasciata a metà

Quella gita fu annullata, non ricordo se per questioni di sicurezza oppure di scarsa adesione. A quel punto sarebbe stato soltanto un rischio inutile. Non capivamo la gravità di quell’attacco eppure ne sentivamo parlare talmente tanto da essere in grado di associarlo con chiarezza ad un evento drammatico. Ricordo gli adulti preoccupati, quelle immagini di torri avvolte da fumo nero, i vigili del fuoco dal volto sporco coperti di polvere, le persone che fuggivano.

E poi ricordo quelle immagini drammatiche trasmesse dalle emittenti nazionali che immortalavano il disperato tentativo di fuga di chi era rimasto intrappolato. Persone che si lasciavano cadere nel vuoto non avendo alcuna speranza di salvezza. Fu difficile riuscire a comprendere perché una persona decidesse di suicidarsi anziché attendere l’arrivo dei soccorritori.

Nell’elenco delle occasioni perse dalla mia generazione, l’11 settembre corrisponde ad una trasmissione interrotta e ad una gita annullata, metafore del superamento precoce dell’ingenuità tipica dell’infanzia alla consapevolezza. Quel giorno, davanti a quella televisione, i bambini di tutto il mondo sono diventati un po’ adulti imparando la rabbia, la frustrazione e la profonda ingiustizia che in fondo portiamo ancora oggi nel nostro bagaglio.