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Antonietta D’Oria ci racconta il suo “Lo sguardo altrove”

Lo sguardo altrove

Antonietta D’Oria, dottoressa in lettere moderne, esordisce quest’anno con il suo primo romanzo pubblicato da Eretica: Lo sguardo altrove. La storia ci trasporta in una polposa, quanto fatiscente, Londra vittoriana in cui il perbenismo regna.  Elizabeth è stata educata ad inseguire l’unica ambizione concessa alle donne, il matrimonio. Sposa un giovane medico, del quale è innamorata, ma improvvisamente apre gli occhi e si rende conto che la vita che sta vivendo è solo una farsa. Questa per Elizabeth è una nuova rinascita che la porterà ad imbattersi anche in realtà crudeli e crimini inumani.

Intervista all’autrice di Lo sguardo altrove

Com’è nata la tua passione per la scrittura?

Sin da quando ero ragazzina, verso i quindici anni direi, leggevo in modo vorace romanzi su romanzi. Negli ultimi anni ho capito che invece che cercarmi nelle opere altrui avrei potuto restituire me stessa alla letteratura scrivendo qualcosa di mio.

Dove hai trovato l’ispirazione per Lo sguardo altrove? Quale autore ti ha coinvolta particolarmente?

In realtà non saprei darti una risposta certa. Sicuramente tra gli autori che mi hanno colpita nell’ultimo periodo c’è Pedro Salinas. Ho amato particolarmente Voce a te dovuta, una raccolta poetica fortemente introspettiva. Questa mi ha portato ad interessarmi all’intelligenza emotiva e al miglior modo di vivere ed indagare l’introspezione.

Qual è l’emozione che hai provato vedendo la prima copia di Lo sguardo altrove?

Sicuramente incredulità. Sono rimasta venti minuti a guardare il romanzo. Cercavo di controllare ancora tutti i dettagli: la divisione dei capitoli, la copertina, la carta. Cercavo di cogliere ogni particolare.

Quindi ora ti senti una scrittrice?

Assolutamente no. Per me resta un sogno, un’aspirazione, e ancora non sento di potermi definire realmente tale.

La tua protagonista è una donna ancora figlia della società patriarcale. Riesce però poi a distanziarsene, come?

La realtà che Elizabeth vive non le piace. Comprende che anche la presenza del marito non rappresenta altro che un’illusione amorosa. Inizia così un percorso alla ricerca della vera se stessa. Cerca un mondo a sé conforme. Cercare se stessi, però, è un percorso in solitudine, non si può condividere con altri. Questa solitudine è un momento privato, in cui si rende conto della responsabilità che ha verso se stessa e della felicità di suo marito. È per questo che propone a suo marito di lavorare meno, proprio per sottrarlo da un maschilismo tossico, che propone l’immagine dell’uomo come infallibile.

Ritieni quindi che il patriarcato danneggi le donne quanto gli uomini?

Certo. La società patriarcale crea uomini spaventati nell’apparire insicuri, e donne intrappolate in gabbie dorate. L’idillio casalingo toglie loro la possibilità di manifestare il proprio potenziale.

Perché hai scelto tutte protagoniste femminili?

Ho scritto un romanzo tutto al femminile per raccontare un mondo, quello vittoriano, tipicamente maschile. Il punto di vista femminile mi ha permesso di indagare meglio l’introspezione dei personaggi. Dubito che con personaggi maschili sarei riuscita a fare lo stesso.

Quali personaggi hai preso come punto di riferimento per creare le tue protagoniste?

Elizabeth è ispirata in parte alla sua omonima di Orgoglio e pregiudizio, mentre l’antagonista prende spunto da una serie di studi che stavo svolgendo su Medea.

Qual è la verità che alla fine scopre Elizabeth?

Elizabeth finalmente riesce a vivere la vita che vuole, senza i pregiudizi dell’educazione impartita. Capisce che la sua sensibilità e la sua empatia non sono dei punti deboli, bensì delle qualità che le permettono di avvicinarsi agli altri.

La madre di Elizabeth però ha un ruolo fondamentale nella vita dalla ragazza. Come mai hai creato questo legame particolare?

L’episodio della madre anticipa in qualche modo il finale del romanzo. Per quanto Elizabeth trovi irrazionali i gesti dell’assassina prova per questa prima pietà e poi empatia.

Ti rivedi nella tua protagonista?

Sì. Credo di aver messo molto di me in lei. Chi scrive mette molto di se stesso nei propri personaggi. L’autore scrive le proprie esperienze, ciò che ha scoperto durante la propria vita.

Hai trattato tanto i temi femminili in una società diversa dalla nostra, sia come spazio che come tempo. Tu come donna nella realtà contemporanea ti senti tutelata? Senti di avere pari diritti rispetto ad un uomo?

Io mi sento tutelata perché sono fortunata, sono nata nella parte agiata del mondo. Non credo si possa parlare di parità per le donne finché questa parità non sarà per tutte. Sicuramente ci sono stati molti passi in avanti, ma ritengo che le richieste di Mary Wollstonecraft di fine Settecento siano ancora troppo attuali. Le donne che studiano non sono considerate al pari degli uomini. Alle donne è ancora delegato accudimento della famiglia, della casa. Vengono ancora rilegate completamente al mondo casalingo che le opprime.

Ringraziamo ancora la gentilissima Antonietta D’Oria per averci concesso quest’interessantissima intervista. Vi invitiamo a dare un occhiata al suo romanzo su https://www.ereticaedizioni.it/prodotto/antonietta-doria-lo-sguardo-altrove/