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Chiacchierando con Enrico Barbato, l’autore di Parole e altre incertezze

Parole e altre incertezze

Parole e altre incertezze è  la prima raccolta di Enrico Barbato, giovane insegnante laureato in filologia moderna. Con la sua raccolta divisa in tre sezioni – Disamore, D’amore e Vite da sfatare– il poeta traccia un viaggio fatto di immagini viste dal finestrino di un treno, un percorso tortuoso e incerto dove i punti di riferimento sono le parole e la loro forza evocativa.

 Intervista all’autore

Ciao Enrico, e grazie per averci concesso il tuo tempo. Ci racconti un po’ di te? Qual è stato il tuo percorso?

 Il mio percorso non può prescindere dall’università. Frequentare Lettere moderne, ed in seguito Filologia Moderna, mi ha plasmato come nessun’altra cosa. Mi ha reso la persona che sono oggi. Le persone che ho incontrato lungo quel cammino mi hanno fatto scoprire lati di me che non conoscevo, mi hanno aperto un mondo ricco di storie e immagini, che ho fatto miei, scavando un solco dentro di me. Napoli non può essere esclusa dal mio percorso. È una città che ti chiede tanta pazienza, ma sa ricambiare questa fiducia, non ti lascia solo, ti avvolge e ti fa capire cosa sei.

Parole e altre incertezze è il titolo della tua prima raccolta poetica. Perché ha scelto proprio questo titolo?

“Parole e altre incertezze” è il titolo della mia prima raccolta di poesie, ma non è stato facile sceglierlo. Mi sembrava tutto così astratto, senza il giusto mordente, serviva un nome che mi rispecchiasse al 100%, quindi quale migliore di questo. Le parole mi accompagnano da sempre. La balbuzie mi ha aiutato a capire che bisogna imparare a parlare per tutta la vita, parafrasando Vinicio Marchioni. Le incertezze vengono di conseguenza: la paura di sbagliare scelta e non poter rimediare attanaglia l’esistenza un po’ di tutti.

Ti andrebbe di dirci di più, qual è il tuo personale rapporto con le parole?

 La risposta a questa domanda parte da quella in precedenza. Un percorso di due anni di logopedia, grazie all’aiuto e al supporto di dottoresse fantastiche, mi ha fatto capire letteralmente il valore delle parole. Per questo, inoltre, ho deciso di intraprendere la carriera didattica e insegnare.

 Come mai in un’era in cui probabilmente la forma più letta ed apprezzata è la prosa tu hai scelto di scrivere una raccolta di poesie?

Io nasco con la prosa, ho ancora nel cassetto il sogno di un romanzo ma credo anche che la vita vada vissuta a ondate e a questo giro credo di essermi spiegato meglio così.

So che probabilmente non sarà una domanda facile, ma come ci descriveresti la tua opera?

“La mia opera”, già chiamarla così è difficile. È un racconto, senza una linea guida, di tutta la mia vita. Le sensazioni che ho provato, le persone che ho trovato lungo il percorso, quelle che troverò, le vite che avrei voluto vivere. C’è tutto questo, perché tutto questo sono io. Non è un monologo, non è un modo di gonfiare la mia aurea, anzi è l’opposto, è un raccontarmi senza tanti orpelli.

Pensi che la letteratura oggi trovi ancora spazio nel cuore e nell’intelletto dei giovani?

Penso che la poesia entri di diritto nell’immaginario collettivo giovanile. Per uno studente di lettere è la normalità. Ed è una cosa che va ricercata nel tempo, perché c’è sempre spazio per un nuovo libro e per la poesia. Molti amici hanno scoperto il potete delle parole anche leggendo quello che scrivevo e penso di aver centrato il punto.

Parole e altre incertezze viene definito quasi come una fotografia delle nuove generazioni. Come mai il tuo sguardo è stato catturato da ciò?

Il mio libro racconta la storia di una generazione alla continua ricerca di un posto nel mondo. Arrivati ad una età in cui ci si trova a fare dei backup, si può guardare indietro e cercare di capire dove si sta andando. Un esempio è la serie di Zerocalcare, che va per la maggiore. Il segreto è raccontare senza voler prevaricare, ma con la sola voglia di narrazione di eventi che meritano di essere trattati.

Questo tuo attaccamento alle parole si nota anche nella scelta del tuo percorso scolastico che professionale. Ora insegni. Hai sempre desiderato farlo?

La volontà di diventare insegnante trae origine a metà del percorso universitario. Nel bel mezzo della triennale ho capito che era il mio destino. La capacità di poter aiutare i ragazzi a trovare una strada, l’idea di poter diventare una guida è necessario. Certo, la pandemia ha ostacolato questa idea, come anche la disorganizzazione e l’arretramento della scuola italiana, mettendola a repentaglio, ma ho tenuto duro ed ora sono più deciso di prima.

Ogni mattina entri in un’aula piena di gagliarde emozioni. Senti di avere dei doveri o se vogliamo una missione da compiere verso questi ragazzi?

Sento di poter essere una figura di accompagnamento, un formatore o semplicemente una guida. Quando entro in classe al mattino cerco di essere il ragazzo di ogni giorno, con i suoi dubbi e le sue incertezze, che non riesce a starsene con le mani in mano, mentre una generazione rischia di essere cancellata prima di esistere.

Ringraziamo ancora una volta Enrico Barbato per la sua disponibilità, e invitiamo voi lettori a dare uno sguardo alla sua raccolta: https://www.unilibro.it/libro/barbato-enrico/parole-e-altre-incertezze/9791280429100?idaff=googlebase-14

Per altre interviste leggi anche: Antonietta D’Oria ci racconta il suo “Lo sguardo altrove”