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Violenza di genere: un’analisi sociologica

Per arrivare a comprendere cosa spinge alla violenza di genere è importante prima fare chiarezza sulle differenze di genere. Si nasce maschi e femmine e si diventa uomini e donne. Cosa significa? Che nasciamo biologicamente con caratteri sessuali di maschi e femmine, ma il nostro ruolo sociale di uomini e donne si costruisce nel tempo attraverso le pratiche di socializzazione e l’educazione.

Gli uomini e le donne apprendono i rispettivi ruoli di genere attraverso sistemi di ricompense e punizioni che incoraggiano alla conformità di genere. In realtà, non esiste una tendenza “naturale” di uomini e donne, ma una costruzione sociale di differenze tra i sessi, tant’è che la differenza nei ruoli tra uomini e donne variano da cultura a cultura. Ad esempio, in alcune tribù della Nuova Guinea gli uomini e le donne si occupano entrambi della cura dei bambini e attributi. Allo stesso modo la gentilezza e l’affettuosità non sono appannaggio delle sole donne.

La rivoluzione sessuale degli anni Sessanta

La sociologa Margaret Mead agli inizi del Novecento fu la prima a sostenere che il genere non si fonda su differenze biologiche tra i sessi, ma riflette i condizionamenti culturali della società di appartenenza. L’opera di Mead ha gettato le basi per la cosiddetta rivoluzione sessuale iniziata negli anni Sessanta che ha incentivato una maggiore partecipazione femminile alla vita pubblica.

Il considerare dei ruoli stabiliti naturalmente tra uomini e donne ha portato a considerare l’eterosessualità come l’unica, innata e “normale” forma di sessualità. Secondo questa visione gli uomini sono considerati attivi e le donne passive. L’eterosessualità viene protetta e promossa dall’ideologia dominante. In questo modo essa è riconosciuta come un’istituzione e un sistema di potere che privilegia gli uomini e sottomette le donne. L’ideologia possiamo riconoscerla, ad esempio, nel tentativo di escludere le donne dal mondo del lavoro costringendole ad una dipendenza finanziaria dall’uomo. Essa emerge anche attraverso la diffusione di storie romantiche e film che mostrano le relazioni eterossessuali come normali e quelle omosessuali come deviate. O ancora dall’idea che le donne siano prede della violenza e quindi debbano ricercare protezione in una relazione con un uomo.

Il “lesbismo politico” di Adrienne Rich

La società si identifica con l’uomo, le cui esigenze hanno una rilevanza maggiore e le donne tendono a privilegiare le relazioni (amorose) con gli uomini anziché coltivare le relazioni (amicali o amorose) tra donne. Addirittura Adrienne Rich, poetessa e saggista che mise in discussione l’eterossessualità come istituzione, parla di lesbismo politico. Si tratta di una forma di opposizione al patriarcato in cui il lesbismo può essere interpretato come un continuum che include le donne attratte dallo stesso sesso e quelle eterosessuali, ma vicine in termini politici ad altre donne.

Perché l’eterosessualità è considerata un sistema di potere? Perché, come afferma sempre Adrienne Rich: «incoraggia strutture di pensiero binarie: eterosessuale/omosessuale, uomo/donna, dove il primo elemento di ogni coppia è privilegiato rispetto al secondo; l’eterosessualità obbligatoria ci presenta copioni ovvero modelli per la gestione dei rapporti».

Carol Smart, sociologa statunitense, affermava come l’identità eterosessuale al pari dell’identità coloniale bianca, non sia altro che l’imposizione di una ideologia dominante per riaffermare rapporti di potere. Uno dei messaggi più dannosi, continua la Rich, è trasmesso dalla pornografia. Qui le donne sono prede sessuali naturali degli uomini, costrette a subire l’umiliazione e la violenza sessuale: la sessualità e la violenza convergono.

La violenza fisica è conseguenza della violenza simbolica

Accanto alla violenza simbolica dell’ideologia, dunque, si affianca anche la violenza fisica per controllare i comportamenti delle donne (mutilazione genitale femminile, punizioni per l’adulterio). Basti pensare che fino agli anni Novanta, in molti Paesi occidentali, lo stupro coniugale non era considerato reato. Lo stesso sfruttamento della donna in casa attraverso l’istituzione del contratto matrimoniale (che altro non è se non un contratto di lavoro in cui si beneficia del lavoro non retribuito della moglie), è una conseguenza della combinazione tra patriarcato e capitalismo, entrambi volti alla conservazione del predominio e del controllo maschili.

A rafforzare questa tesi basti pensare che il lavoro domestico non retribuito non dipende dalla natura del lavoro in sé. Questo infatti, quando è svolto fuori dall’ambito familiare, prevede un compenso. Il lavoro domestico, perciò, rappresenta una forma di sfruttamento nelle società capitaliste e patriarcali. Da un lato, infatti, é considerato di basso livello, e dall’altro offre scarse opportunità per la creatività e l’autorealizzazione.

A cura di Antonio Papa

Leggi anche la Parte 2 – Violenza di genere: lavoro domestico e sottomissione indotta

Parte 3 – Le forme più estreme e i lati nascosti della violenza di genere

Leggi anche la Parte 4 – La violenza di genere oggi

Parte 5 – Violenza di genere: una violazione dei diritti dell’umanità